ippogrifo

Il Castello del Principe Barbablù

Le fiabe attraggono sempre tutti: i bambini, che crescono ascoltandole, imparano a scoprire e capire i loro sentimenti e le loro emozioni, mentre i ragazzi e gli adulti, anche se dicono di trovarle infantili, in realtà sono catturati dal loro fascino che richiama loro alla mente la propria gioventù. Inoltre, se a queste storie si aggiunge anche l’atmosfera di un teatro, il risultato è una serata magica.

Una delle opere messe in scena al teatro Pergolesi di Jesi per la cinquantaquattresima stagione lirica è stata “Il Castello del Principe Barbablù”, ispirata alla celebre fiaba di Charles Perrault e musicata dal compositore ungherese Béla Bartòk. Anche se originariamente l’orchestra al completo doveva essere di ben 90 strumenti, a causa della pandemia è stata ridotta a soli 23, suonati tutti da componenti dell’orchestra del Teatro Coccia di Novara, diretti dal maestro Marco Alibrando.

Dopo il prologo, recitato come da due ‘Muse’ (Giuditta Pascucci e Carolina Rapillo) che invitano lo spettatore ad ascoltare la storia, entrano subito in scena i due unici personaggi dell’opera: il terribile duca Barbablù (Andrea Mastroni) vestito di una sorta di armatura rossa (come il sangue), e la sua nuova moglie Judith (Mary Elizabeth Williams), che invece indossa un abito bianco e puro. Anche la scenografia di Matteo Capobianco (ideatore tra l’altro dei costumi di scena) è particolare: una piattaforma ettagonale sormontata da un trono bianco ruota su sé stessa mentre sulle pareti di questa vengono proiettate diverse immagini e luci bianche e rosse.

Centrale nella storia è il ruolo di Judith che, da poco sposa di Barbablù, decide di seguirlo per vivere nel suo misterioso e cupo castello, convinta dal folle amore che prova per lui che riuscirà a cambiarlo, nonostante il conte abbia fama di essere crudele e spietato. Appena entra nella sua nuova dimora, Judith nota subito sette porte chiuse a chiave e divorata dalla curiosità supplica Barbablù di aprirle per lei. Egli inizialmente le nega l’uso delle chiavi, ma a poco a poco cede ed apre una per una tutte le porte.

Dietro queste si celano stanze orribili come la camera delle torture o l’armeria, ma anche altre che dovrebbero essere piene di meraviglie come un enorme tesoro di oro e gioielli, un magnifico giardino (e a questo punto dall’alto del palcoscenico scende una foresta di alberi di carta), una terrazza che mostra tutti i possedimenti del conte. Ma tutte le stanze, anche le più belle, sono orrendamente macchiate di sangue, sulle armi, sulle collane, sulle foglie e sui fiori, e persino le nuvole sembrano gettare ombre color cremisi sulla terra.

A macchiarsi di sangue non sono solo gli oggetti nelle stanze, ma anche l’animo della stessa Judith che, man mano che apre le porte, diviene sempre più corrotto e impuro, come quello di Barbablù.

Dietro la sesta porta si rivela un lago color bianco cristallino, quasi inquietante per il contrasto tra chiaro e scuro con le altre sale. Il duca racconta alla moglie che l’acqua è in realtà composta dalle sue stesse lacrime, ma lei non crede alle sue parole, pensando che le lacrime del lago e il sangue appartengano delle precedenti mogli di Barbablù, e che lui tenga i loro corpi senza vita dietro l’ultima porta. Dopo queste accuse, e capendo che ormai l’animo di Judith è irreversibilmente corrotto e inquinato dalle tenebre, Barbablù lascia che la moglie entri nella settima stanza, dove però non trova ciò che si aspettava.

Tre volti di donna ritagliati nella carta sono calati dall’alto del palco: sono le tre mogli di Barbablù che, insieme a Judith, si completano: la prima è la moglie del mattino, la seconda del mezzogiorno, la terza della sera, e Judith, essendo l’ultima arrivata, dopo aver provato ad opporsi senza successo, diviene la moglie della notte.

Così, prima che cali il sipario, Judith (la vera protagonista della storia) compie la sua trasformazione da giovane piena di speranze a donna consapevole e matura di ciò che è diventata senza volerlo. Possiamo perciò dire che questa favola è una sorta di ‘romanzo di formazione’, contrapposto però alle classiche storie di principesse a lieto fine in stile Disney, le quali, crescendo, diventano ognuna la perfetta moglie del proprio principe azzurro: infatti, Judith supplica letteralmente Barbablù di lasciarla andare, ma il conte, per nulla commosso dalle lacrime della giovane, quasi la costringe a crescere e diventare sua sposa, percorso che, invece, nelle storie di Cenerentola o Biancaneve, avviene progressivamente con la maturazione delle principesse. Quello che solitamente dovrebbe essere l’eroe della storia, ovvero lo sposo, raccontato solitamente vestito di azzurro, in ‘Il Castello del Principe Barbablù’ è l’antitesi dell’eroe, e infatti il suo nome lo descrive con il colore scuro contrario a quello dei principi.

Infine, si può dire che l’antagonista della storia e ‘l’origine di tutti i mali’ non sia solo il malvagio conte, ma anche la curiosità di Judith che, se non avesse insistito a farsi aprire le porte delle sale del castello, non avrebbe mai scoperto gli orrori dietro ad esse, e il suo animo non sarebbe stato sporcato di sangue come i gioielli che, sposando Barbablù, desiderava possedere.

Alessandro Vignetti