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Il volontariato: un’opportunità per i più giovani

Ci dicono che i giovani sono il futuro, che noi dovremmo darci da fare per cambiare le cose, che dovremmo essere la differenza che vogliamo vedere nel mondo. Noi rispondiamo che va bene. Eppure, quanto può davvero fare un ragazzo delle superiori di età inferiore ai diciotto anni? Ecco, è questo il punto: ci sono infiniti modi per aiutare gli altri, infinite strade per cambiare ciò che non ci sembra giusto e per impegnarci.

Il problema è che molte vengono chiuse da un limite: l’età. Le associazioni di volontariato spesso coinvolgono i giovani, certo, ma non i giovanissimi e a questa è una grande perdita. Per “giovani”, sembra, si fa riferimento a tutte quelle persone che hanno compiuto diciotto anni. Anzi, a volte devono averne almeno venti. Di conseguenza, per giovanissimi intendo gli adolescenti dai quattordici ai diciassette anni. Non coinvolgere quest’ultima categoria nei progetti di volontariato né consentirle di prendervi parte attiva significa privarsi di elementi molto intraprendenti e proattivi. Farlo solo perché non ci si vuole assumere la responsabilità per minorenni è a mio parere quasi un’ingiustizia: chi si dedica al volontariato alla nostra età è chiaramente interessato unicamente a dare concretezza ai suoi ideali e non ha alcuna intenzione di creare problemi. Pensiamo a cosa vuol dire per un ragazzo vedersi così tarpate le ali. Il volontariato, poi, ha tantissimi effetti benefici. Primo tra tutti la sensazione di appagamento e felicità per aver fatto qualcosa di utile per chi ne aveva bisogno: promuovere la partecipazione a questi progetti potrebbe ridurre gli altissimi numeri di adolescenti affetti da depressione in Italia (il 25% dei ragazzi secondo Il Sole24ore). Inoltre, spingere un adolescente ad organizzarsi, avere un impegno e responsabilità vuol dire farlo crescere. 

Cercando con attenzione – perché queste iniziative non sono molto pubblicizzate – qualcosa di interessante che coinvolga i ragazzi e le ragazze c’è. In molti casi non si tratta di un impegno costante, ma vale comunque la pena partecipare. Ad esempio, i campi di volontariato organizzati dal WWF, a cui io stessa ho preso parte. Abbiamo pulito le spiagge, imparato molte cose estremamente appassionanti sulla natura e l’inquinamento luminoso, gestito le visite all’ospedale delle tartarughe e abbiamo persino fatto amicizia con questi animali stupendi e sorprendentemente socievoli. Le tartarughe ci salutavano ogni giorno con una bella schizzata d’acqua, affioravano e ritornavano sott’acqua dopo averci guardato dritto negli occhi. Purtroppo, non tutte le tartarughe potevano accoglierci: alcune erano gravemente ferite e non avevano neppure la forza per nuotare. È triste pensare, quando sei lì, che tutto quello che puoi dare loro è solo affetto: vorresti poter fare ancora di più per quelle povere creature innocenti. 

Ero convinta, ingenuamente, che avrei trovato solo persone come me, che si interessano all’ambiente e che desiderano prendere parte attiva alla sua salvaguardia. In parte è stato così, in parte no. Da un lato, ho conosciuto persone splendide, persone che ci ringraziavano quando ci vedevano raccogliere la plastica nel mare e che ci sorridevano grati quando raccontavamo le vicissitudini di quelle tartarughe; dall’altro, mi sono imbattuta nella superficialità di alcuni partecipanti. Tuttavia ne sono contenta perché anche loro, probabilmente inconsapevolmente, mi hanno offerto spunti di riflessione. Quando i responsabili del campo ci hanno ritirato i cellulari, così da avere meno distrazioni e poter godere di un’immersione totale nell’esperienza, ho visto come per molti dei miei compagni il richiamo del telefono fosse più forte del desiderio di vivere quell’esperienza di volontariato. Come se la connessione con il loro smartphone fosse più importante di quella con la natura. 

In ogni caso, custodisco un meraviglioso ricordo di questa mia prima avventura come volontaria (e dico prima perché so che questo è stato solo l’inizio): sono soddisfatta di me perché volevo fare qualcosa e, nel mio piccolo, l’ho fatto. Non mi sono lasciata scoraggiare; al contrario, ho lottato per quello in cui credevo, mi sono impegnata e messa in gioco, con curiosità e voglia di imparare. È stata come una presa di coscienza, non solo di ciò che mi circondava: soprattutto di me stessa. Per questo, credo fermamente che il volontariato sia qualcosa che, prima di rivoluzionare il mondo, cambia te stesso.

Ilaria Andreucci