ippogrifo

Intervista sulla DAD al prof Federico Lecchi

La Sua è una materia che, se affrontata a distanza, può risultare estremamente difficile. Quali sono stati gli ostacoli più grandi (didattici e tecnici) che ha riscontrato in questi mesi di DAD?

La difficoltà credo si siano presentate per tutte le discipline, per studenti e professori. Volendo fare un discorso ideale il lavoro del docente nella prima fase di chiusura consisteva nell’ipotizzare, chiedere, interpretare quali fossero le difficoltà dei suoi studenti in questa “rivoluzione”. Questo sul piano che potremmo chiamare didattico-relazionale. Mi accorgo però che sto facendo una considerazione “a posteriori” riandando all’esperienza del primo periodo, il più duro per tutti. Perché noi docenti condividevamo con gli studenti la situazione di una scuola sospesa letteralmente al cloud.

E naturalmente la “postura” davanti al computer o al cellulare e alla telecamera.  Sugli ostacoli tecnici sono stato supportato efficacemente dagli studenti che ne sapevano più di me che mi indicavano come gestire Skype, Zoom, Join me e tutte le altre piattaforme che abbiamo dovuto in fretta e furia imparare ad utilizzare.

La filosofia e la storia sono sicuramente materie che donano numerosi spunti di riflessione e di dibattito. È stato possibile, nella sua personale esperienza, trovare occasioni di confronto con gli studenti durante la DAD?

In questo periodo ho sentito vari interventi di filosofi che sul web e sui mass media presentavano le loro considerazioni. Alcune osservazioni le ho condivise con gli studenti quando esse incontravano le tematiche disciplinari ma l’anno scorso non ho ritenuto di assegnare specifici lavori su quegli interventi. Quest’anno invece, per educazione civica con le mie quinte, ho già affrontato alcuni aspetti filosofici e politici relativi alla situazione pandemica, introducendo il tema della “biopolitica”.

In questi mesi, noi studenti abbiamo potuto avvertire sforzo sia da parte Sua che dei Suoi colleghi; cosa ha pensato sentendo la notizia del ritorno in classe, ma al 50%?

In questi giorni ci siamo confrontati tra colleghi su tutti gli aspetti relativi alla didattica in sicurezza. L’indicazione di dimezzare le classi, un gruppo in presenza e un gruppo in DDI (didattica digitale integrata), mi aveva dapprima lasciato perplesso; pensavo soprattutto alle verifiche (sarà una deformazione professionale). è in ogni caso un passo in avanti rispetto alla sola didattica a distanza; si riprende un po’ di vita scolastica e per i docenti è un ulteriore stimolo a cercare una via efficace per la didattica in questa nuova situazione, in attesa di una stabilizzazione che si spera in meglio, anche in relazione alle modalità dell’esame di Stato.

Comprendiamo che spiegare la propria materia di fronte ad un monitor sia, per un professore, una sfida oltre che una seccatura. Ma c’è stato qualcosa, in questi lunghi mesi, che L’ha fatta sentire più vicino ai Suoi studenti e, in un certo senso, percepire una parvenza di normalità?

Ho dovuto combattere la cosiddetta “ansia da prestazione” perché mi accorgevo che la stavo riversando sugli studenti; tutti questi testi assegnati, esercizi, conferenze da seguire (e da trascrivere) rischiavano di trasformare la classroom in un campo di battaglia. Perfino le ore asincrone, introdotte per “far riposare” gli alunni erano in realtà un aggravio di lavoro. Per fortuna ho studenti reattivi che mi hanno fatto cambiare rotta. Il programma da svolgere per me rischiava di diventare un “feticcio”, l’unica costante che non deve cambiare in un mondo in movimento.

Intervista a cura di Laura Lancioni, progetto svolto in collaborazione dalla IV A