ippogrifo

Intervista sulla DAD al prof. Luca Giancarli

Lei è stato uno dei primi docenti a tenere lezioni a distanza; cosa ha trovato di nuovo ed incoraggiante nel tenere lezioni via internet, e quali aspetti della DAD, invece, hanno deluso le sue aspettative?

Quando, circa un anno fa, la scuola cominciò a sospendere le attività in presenza, mi attivai praticamente subito per organizzare le lezioni a distanza, mettendo a frutto alcuni tentativi che avevo svolto negli anni precedenti. Ho una passione per l’informatica e ho sempre cercato di coniugarla con l’altra mia passione, l’insegnamento e la ricerca nelle lingue classiche. La cosa che mi ha entusiasmato fin da subito è stata utilizzare tutte le potenzialità della didattica a distanza (videocollegamento, compiti a distanza, documenti condivisi, ecc.), soprattutto perché potevo rimanere in contatto con gli studenti anche in una situazione un po’ difficile. Ho trovato deludente la solitudine in cui ho svolto queste attività: a tutti piace condividere il proprio lavoro ma, nell’ambito delle tecnologie, molti docenti alternano tra scarsa esperienza e sospetti generici.

Nella sua personale esperienza, possono le conoscenze e la passione di un professore passare attraverso un monitor? Quali sono stati i momenti in cui ha percepito vicinanza ai suoi studenti? In quali, invece, si aspettava più collaborazione da parte dei ragazzi?

La domanda è interessante. Anzitutto mi chiederei: possono passare attraverso un monitor (dello smartphone, o del computer o della TV) le passioni di un cantante, di uno sportivo, di un influencer? Direi proprio di sì e ne siamo testimoni tutti i giorni, visto che viviamo nella cultura dei social. Allo stesso modo possono passare quelle di un docente, che, per sua fortuna, maneggia temi e argomenti straordinari (basti pensare alla lingua e letteratura latina e greca, o italiana, per rimanere nel mio caso). Complessivamente ho sempre percepito vicinanza, i momenti più belli sono stati però quando si parla della vita quotidiana dei ragazzi, allora vedi che gli occhi – o la voce – si accendono, anche attraverso lo schermo. Aggiungo che i miei ragazzi hanno sempre mostrato molta collaborazione.

Cosa ha pensato sentendo la notizia del ritorno in classe, ma al 50%?

Secondo me, il ritorno al 50% è stata una soluzione accettabile, vista la situazione complessiva. La didattica al 100% a distanza naturalmente è un grave problema per la scuola; è chiaro che la didattica in presenza è insostituibile.

Avremmo sicuramente costatato che Internet è un potente mezzo di comunicazione, ma può la DAD essere effettivamente definita “La scuola del futuro”?

In realtà la DDI (didattica digitale integrata) è la “scuola del presente”, almeno dal 2014-2015 (quando è stato avviato il Piano Nazionale della Scuola Digitale) e l’Italia era già in grosso ritardo rispetto agli altri paesi industrializzati; nella nostra scuola la prima Classe 2.0 fu nel 2013, di cui ero il referente, e prima ancora c’erano state altre sperimentazioni. Il punto è che la Didattica Digitale Integrata immagina una “integrazione” tra le varie metodologie didattiche e conseguentemente tra gli strumenti da adottare e, in questo senso, vedo irrinunciabile l’utilizzo degli strumenti digitali: sarebbe come se chiedessimo ad un medico “Lei come vede l’utilizzo dell’ecografo nella diagnostica?”. Quale medico risponderebbe che non lo vuole? Gli insegnanti dovrebbero liberarsi dei pregiudizi anti-tecnologici e chiedersi quali obiettivi vogliono raggiungere con la loro pratica didattica e utilizzare di conseguenza tutti gli strumenti più adeguati, dal libro alle app.

Intervista a cura di Laura Lancioni, progetto svolto in collaborazione dalla IV A a.s. 2020-2021