ippogrifo

Intervista sulla DAD alla prof.ssa Laura Trozzi

 

Possiamo immaginare che la Laura Trozzi del passato non avrebbe mai pensato di tenere per mesi lezioni davanti ad un computer. Ma è stato veramente possibile seguire il programma a distanza?

Per prima cosa, confermo che mai avrei immaginato di fare lezioni da casa via computer alle mie classi e che questo cambiamento è giunto tanto inatteso, quanto repentino.

Da insegnante, il disorientamento iniziale è stato tanto, così come il senso di profonda inadeguatezza. Tuttavia, il desiderio di non abbandonare i miei alunni, forse anche più smarriti di me, e la caparbia volontà di far sentire loro che comunque, pur tra mille difficoltà e paure per un nuovo misterioso virus, ero ancora lì con loro e per loro, mi hanno dato l’energia necessaria per cominciare a prendere confidenza con le nuove tecnologie al servizio della didattica.

Non posso dire di essere diventata una professoressa 3.0, anzi il senso di inadeguatezza è ancora vivo e potente, ma non mi sono mai vergognata di chiedere aiuto ad amici, colleghi e studenti più esperti di me, che mi hanno indicato strategie utili.

Quello che, però, penso di essere riuscita a fare è stato portare avanti, seppur con inevitabili rallentamenti sui tempi, il programma soprattutto di materie come l’italiano e la storia. Insegnare la lingua latina in Dad, invece, è stato piuttosto difficile, dal momento che, senza la possibilità di una verifica scritta di traduzione, ho faticato moltissimo nel poter davvero comprendere fino a che punto i miei alunni riuscissero ad assimilare tutto quello che andavo via via spiegando loro.

Ma ci tengo a dire che, soprattutto lo scorso anno in pieno lock-down, il programma non era l’obiettivo più importante da perseguire. Bisognava, secondo me, soprattutto sostenere i ragazzi, incoraggiarli, aiutarli ad accettare una condizione tanto limitante e limitata e farli parlare, ovviamente se volevano. Ricordo di aver scritto loro una lettera nel marzo scorso, con la quale li esortavo alla pazienza che educa e alla solidale responsabilità, ma in special modo li invitavo a condividermi privatamente come stessero vivendo quel momento e se riuscivano a seguire le mie lezioni. Tanti mi esternarono la loro condizione ed è stato un momento di grande vicinanza, a dispetto della lontananza fisica.

Secondo Lei, può un professore trasmettere le proprie conoscenze via internet?

Alla luce dell’esperienza fatta, posso dire di sì. Le conoscenze passano, se l’insegnante continua a trasmetterle con passione. Se, insieme alle conoscenze, passa la convinzione del docente che quelle nozioni sono importanti per la crescita e la maturazione dell’alunno, non è di certo uno schermo a creare un ostacolo. Ma l’atmosfera di intima condivisione che si crea in un’aula vera, dove ci si emoziona insieme per una verità svelata o per una bellezza percepita, è ineguagliabile. E, soprattutto, se si cerca anche una collaborazione degli alunni nel raggiungimento di certe nozioni, attraverso un dibattito o semplici domande, di certo il dover accendere uno alla volta il microfono, il dover parlare talvolta con la linea internet disturbata, toglie buona parte dell’efficacia e della motivazione. Ho visto con dispiacere alunni spegnersi in Dad, perdere a poco a poco il desiderio di partecipare attivamente alla lezione, perché erroneamente convinti di essere diventati poco più che semplici spettatori. Così come ho osservato ammirata tutti quei ragazzi che, invece, non si sono lasciati scoraggiare dalle difficoltà e hanno mantenuto, anche in Dad, una curiosità vivace e una collaborazione attiva e propositiva.

Da suoi studenti, abbiamo percepito il Suo disagio nel sostenere la DAD; cosa ha provato sentendo la notizia del ritorno in classe, ma al 50%?

In un primo momento ammetto di aver provato sgomento: l’idea di dover spiegare a una classe per metà in presenza, per metà a casa in Dad mi sembrava assurda e faticosa nella realizzazione. Ero arrabbiata e triste, poi, perché di nuovo ci si chiedeva di rivoluzionare il percorso scolastico all’ultimo momento, senza nessun rispetto per noi docenti che giorno per giorno cerchiamo di disegnare per gli alunni un cammino di crescita chiaro negli obiettivi e nella traiettoria, perché non si disorientino.

Ma la tristezza è la risonanza autentica di una ferita che pretende di essere curata, non un alibi dietro cui trincerarsi per nascondere la nostra poca motivazione; dopo qualche ora dalla notizia, quindi, ho cercato l’ennesima cura, ho iniziato a fare nuovi programmi per le classi e mi sono imposta un atteggiamento positivo, perché penso sinceramente che quello che più lasciamo ai nostri ragazzi, al di là delle tante importanti nozioni, è l’esempio che diamo nell’affrontare difficoltà e nel gestire le relazioni.

E a posteriori posso dire che, pur nella tragicomica situazione di queste classi spezzatino (che spero sinceramente duri il meno possibile), rivedere di persona molti studenti e incrociare di nuovo per i corridoi colleghi e personale Ata con cui scambiarsi anche solo un sorriso, ovvero tornare ad una vita di relazione vera, mi hanno motivata. E che anche stavolta tanti miei alunni si sono dimostrati maturi, responsabili e reattivi, pur nella manifestazione di nuovi e legittimi disagi, e quindi meritano un plauso.

Che consiglio si sente di dare, da insegnante e da donna, alle centinaia di studenti della nostra scuola che stanno affrontando questa situazione difficile?

Difficile dare consigli senza cadere nella retorica.

Provo ad uscire dall’impasse con l’aiuto del grande Calvino che scrisse nel finale di “Le città invisibili”: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, […]. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”  Nelle difficoltà, ragazzi, cercate con attenzione e discernimento tutto “ciò che inferno non è”, dategli spazio e mettetelo davanti a qualunque motivo di scoraggiamento.

E se domani, come oggi, dovrete sempre più ricorrere a delle macchine nello svolgere le più diverse attività, ricordatevi che voi macchine non siete, che potete anche sbagliare e ogni volta ricominciare.

Intervista a cura di Laura Lancioni, progetto svolto in collaborazione dalla IV A a.s. 2020-2021