ippogrifo

La natura è un tempio – Lavoro di educazione civica

“La prima frase è sempre la più difficile”, dice Wislawa Szymborska.

Cosa ci viene in mente, oggi, pensando alla parola “Natura”? Una bella spiaggia, l’uragano Katrina o, un’altra volta, “il denaro”, come per Sanguineti? Io penso che nessuna di queste tre cose rappresenti la vera “Natura”, di cui è molto difficile dare una definizione chiara, nonostante possediamo schemi e teorie per ogni suo aspetto e fenomeno e, più semplicemente, conosciamo i nostri legami con l’atomo (forse troppi), con il nostro giardino, la trachea o la nebulosa Occhio di Gatto.

Questo discorso potrebbe ampliarsi in mille modi; è ovvio, per esempio, che il rapporto con l’ambiente si è sviluppato ed è stato concepito in modalità differenti nelle varie civiltà e realtà storiche. Tuttavia, la società che ha compiuto e compie tuttora i più gravi “crimini “contro l’ambiente, e chi quindi risente di una visione della Natura negativa è il nostro Occidente.

Gran parte delle esperienze e degli sviluppi culturali occidentali derivano e si basano su successive rielaborazioni e interpretazioni di forme e concetti appartenenti alla civiltà greca,la quale non aveva perso un genuino legame con l’ ambiente e con la sua unità che sussisteva, come in quasi tutte le civiltà del Bacino del Mediterraneo, in forme religiose, secondarie o settarie (come i Riti Dionisiaci o i Culti Misterici) o sociologiche (per esempio la krypteia spartana, che derivava da antichi riti di passaggio e di purificazione nella Natura) ma che tuttavia,o per la loro secondarietà (basti dire che i Rituali Bacchici erano praticati soprattutto dalle donne), per la loro scarsa accessibilità (Culti Misterici), o per la loro esigua diffusione (la krypteia era praticata solo a Sparta) erano abbastanza isolati per avere uno sviluppo sociale rilevante. Essi affondavano le loro radici proprio in antichi rituali di comunione con le forze Naturali, legame che veniva ancora manifestato, sebbene in forma molto civilizzata e artefatta,anche nella poesia elegiaca, idilliaca, bucolica,e infine nel “vivi nascosto” degli Epicurei, che mantenevano ancora una tenue continuità con la religione dei boschi sacri e altre manifestazioni di stretto legame con la Natura.

Questa rivalutazione comunque già manifestava una cesura e una forma di idealizzazione tipiche di una civiltà che ha ormai sviluppato una ineludibile vita urbana. Inoltre, nonostante avessero quasi completamente perso una vicinanza interiore con l’ambiente, anche grazie al loro grande sviluppo culturale i Greci continuarono ad indagarne la struttura e lo “sviluppo” della Natura e, poiché era ormai sottilmente sentita come estranea, queste indagini non ebbero come base una comune interazione uomo-Natura, e nemmeno furono mediate da concetti religiosi, ma furono compiute con l’utilizzo della ragione e della logica. Da qui tutto lo sviluppo della Filosofia e delle teorie sulla nascita dell’universo.

Questa ricerca non poteva che culminare nella visione aristotelica dell’uomo come “al di sopra” e”al centro“del Cosmo, due concetti che formano l’ossatura della nostra concezione dell’ambiente. L’avvento dell’Impero Romano (che ha il “merito” di aver per primo compiuto uno sfruttamento sistematico di quasi ogni risorsa conosciuta) non modificò questi concetti, che subirono invece una metamorfosi durante il periodo Tardoantico e durante il Medioevo. Infatti tutte le maggiori correnti filosofiche e religiose della Tarda antichità (Cristianesimo, Neoplatonismo e Gnosticismo) concepivano la Natura come regno del male, della materia inerte, dell’effimero, dell’impermanente e della morte, e le eccezioni a questa visione estremamente negativa che porterà per gradi e successivi sviluppi ad un distacco quasi totale dall’unità con la Natura sono veramente poche; ad esempio Francesco d’Assisi la pone in una prospettiva divina come “Natura Sorella”. Il Cristianesimo, in particolar modo, che si diffuse in ogni angolo dell’Europa e che costituisce il più importante e profondo fattore costituente, dopo la cultura Greco-Romana, della mentalità occidentale, non solo conteneva questa visione negativa, ma nella sua assimilazione-repulsione di modelli culturali classici fece propria la superiorità e centralità dell’uomo rispetto alla Natura, temi che entrarono così a far parte della mentalità medioevale.

La rivoluzione scientifica costituisce in questo senso un vero e proprio shock: l’uomo non è più al centro dell’ Universo, che grazie ai nuovi strumenti, come il telescopio,si espande al di là dei vecchi Giove e Saturno, ma rimane superiore grazie alla sua mente e alla sua capacità di ragionare e comprendere il mondo con strumenti logici, concetti che saranno le colonne portanti del successivo Illuminismo, nel quale, a fronte di un distacco totale dalla vita naturale, la Natura è vista come un ordinato meccanismo di molle e ingranaggi e come tale non solo da comprendere, ma anche da piegare e sfruttare con razionalità.

E così anche l’uomo è ormai solo un piccolo inerme ingranaggio di un enorme meccanismo, una insignificante rotellina di cui il cosmo non sembra nemmeno curarsi, come sembrano dimostrare le carestie e le calamità. La parabola illuminista si chiude con un doloroso interrogativo; perché la Natura ci avrebbe donato la Mente e il Raziocinio, se a causa della nostra piccolezza di fronte a lei (che non sembra nemmeno amarci particolarmente) non possiamo utilizzarli in pieno, soprattutto per piegarla al nostro disegno? Da questa domanda deriva in Leopardi la visione di una Natura “Matrigna” perché indifferente ai sentimenti dell’uomo, alle sue idee e al suo destino (“Se vi estingueste, io non me ne avvedrei” dice all’Islandese), e in sé stessa quasi mancante di ordine e significato. A simboleggiare la perdita di sacralità della Natura, la Luna, simbolo antico della Dea Madre, diviene in Leopardi un astro muto e mai stanco di eseguire il suo insensato ruotare attorno al mondo.

L’unico movimento letterario che sembra a prima vista riscoprire e rivalorizzare positivamente l’ambiente è il Romanticismo, ma si tratta di una rivalutazione incompleta e velata di tristezza. Il movimento Romantico riscopre sì la Natura, ma al prezzo della chiara consapevolezza dell’irrimediabile distacco che si è ormai consumato dal passaggio dalla cultura classica a quella contemporanea, che viene paragonato a quello da oggettivo a soggettivo, da ingenuo a sentimentale, da Natura ad emozione. La stessa trasposizione dei sentimenti umani nella Natura non implica una comunione con essa, che simboleggia semmai concetti e sentimenti umani su un piano analogico e intellettuale (come il presagio della Morte nella lirica Alla sera di Ugo Foscolo o l’aspirazione all’indeterminato, al trascendente, e al superamento dei limiti della quotidianità nell’Ode al vento Occidentale di Shelley). Nel Simbolismo si riscoprono le corrispondenze, ancora una volta solo a livello intellettuale.

Le due Rivoluzioni Industriali hanno portato ad un’esasperazione del concetto di Natura come serbatoio di risorse da sfruttare all’infinito: e da questa mancanza di intimità e di unità con la nostra Madre Terra derivano le violenze che contro di lei sono quotidianamente perpetrate, e di cui inquinamento, cambiamenti atmosferici, desertificazione, sono le evidenti e tristissime conseguenze.

Francesco Appignanesi