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Intervista sulla DAD Alla prof.ssa Roberta Mosca

 

La pandemia e l’istruzione: intervista alla professoressa Roberta Mosca, docente di inglese.

“Le gite di istruzione sono state annullate improvvisamente. In particolare lei si occupava di accompagnare i ragazzi nei viaggi studio all’estero. In che modo pensa che ciò abbia penalizzato gli studenti nel loro percorso formativo? Quanto è importante per l’apprendimento o il miglioramento della propria conoscenza delle lingue partecipare a queste iniziative? Come crede che si possa compensare, almeno parzialmente, questa mancanza?”

Per lo studio delle lingue, ma soprattutto per la formazione umana, non c’è nessuna esperienza che posso eguagliare un soggiorno all’estero, sia esso un soggiorno-studio, una mobilità individuale o una borsa di mobilità Erasmus. E’ un’esperienza estremamente formativa, perché quando si scopre una cultura diversa non solo si ha la possibilità di immergersi in un contesto nuovo ma nel confronto ci si conosce più a fondo, si comprende appieno la propria identità. Ciò permette di sviluppare un’ottica interculturale che non solo favorisce la crescita personale ma ha anche una ricaduta positiva sul contesto in cui si vive, a livello familiare, scolastico, per tutta la comunità.  Chi fa queste esperienze è più ricco, aperto, flessibile. I nostri studenti ne sono consapevoli, perciò rinunciarvi è stato particolarmente doloroso, anche se ovviamente necessario.  Per loro è venuto a mancare un grande stimolo per mettersi in gioco, verso l’indipendenza e la scoperta dell’altro da sé, accompagnato da sapori, suoni e profumi che rimangono dentro per sempre e diventano parte del proprio bagaglio culturale.  A me è venuta a mancare una parte importante del mio essere docente di lingue straniere, perché non solo abbiamo annullato il soggiorno-studio estivo a Londra, ma abbiamo interrotto anche due progetti Erasmus che mi sono particolarmente cari: ShapEU, che ha permesso a tanti studenti di effettuare un percorso di alternanza scuola-lavoro di 4 settimane all’estero, e MoveIt, che è un progetto di formazione professionale per docenti. Per fortuna tutto questo sta ripartendo, adesso.

Ovviamente, se parliamo solo dello sviluppo delle competenze linguistiche, durante la DAD non ci siamo fermati, perché i nostri alunni hanno continuato il loro percorso formativo, anche attraverso le lezioni con l’insegnante madrelingua, che sono particolarmente efficaci, e la preparazione alle certificazioni linguistiche PET, FCE e CAE e ci siamo comunque avvicinati alla cultura anglosassone attraverso video che ci hanno fatto viaggiare virtualmente. Inoltre, la DAD ci ha fornito un’opportunità per sperimentare strategie e strumenti nuovi che forse sono ancora più motivanti e efficaci per l’apprendimento di una lingua. Però, se guardiamo oltre, alla vera finalità dell’insegnamento delle lingue straniere, non possiamo che rammaricarci per questa necessaria limitazione. Quello che posso dire è che quando si potrà tornare a viaggiare in sicurezza questi progetti ripartiranno e  vi dedicheremo le nostre energie con più entusiasmo e determinazione di prima.

“Come è stato intraprendere un nuovo percorso scolastico con classi nuove? Si è trovata lei stessa in difficoltà, o è riuscita ad adattarsi senza problemi?”

Non mi trovo mai in difficoltà a conoscere classi nuove, fa parte del mio lavoro, anzi è sempre stimolante iniziare una nuova avventura, mi permette ogni volta di mettermi in gioco come docente e come persona ed imparo sempre qualcosa. Gran parte dell’essere insegnante significa fare da filtro tra la propria disciplina e chi la deve apprendere, con la speranza che passi il più possibile. Molto dipende dalle dinamiche che si instaurano. Ogni volta è una sfida, ma la accetto volentieri, anche perché i nostri studenti sono veramente in gamba ed è un piacere lavorare con loro.

“Se le è capitato, ci racconti un episodio divertente avvenuto in DAD, qualche figuraccia fatta dagli studenti.”

Nessuna figuraccia. Un paio di volte qualcuno si è presentato in pigiama, ma dietro sollecitazione si è cambiato subito. Poi una volta, alla fine della quinta ora, ho visto arrivare alle spalle di una mia alunna la mamma, che si è messa ai fornelli. Non avevo visto che erano già le 13, perciò l’ho colto come un messaggio non molto subliminale per invitarmi a terminare! 

“Cosa ne ha pensato del ritorno a scuola in modalità 50%? Quali sono secondo lei i pro e i contro? Può essere considerata soddisfacente oppure avrebbe preferito continuare la scuola in altre modalità? Come pensa che questa divisione possa influire sull’unità, sulla collaborazione e sul sostegno nei rapporti tra gli studenti?”

All’inizio dell’emergenza ci siamo trovati dall’oggi al domani ad insegnare in una modalità pressoché sconosciuta. Non è stato semplice, ma credo che durante la DAD si siano visti gli sforzi fatti e siamo riusciti a garantire un servizio adeguato, sia a livello organizzativo sia didattico. Cambiare di nuovo e passare ad una modalità al 50% non è stato così immediato, perché insegnare in DAD in questo modo è più complesso, sono diversi gli approcci, le strategie, le modalità di verifica rispetto a lezioni totalmente online, perciò siamo stati costretti rimetterci in gioco. Però penso che fosse inevitabile per tutelare la nostra salute, perché lezioni con classi al 100% ci avrebbero esposto a rischi.  E’ stata una modalità che ha permesso, anche se per un breve periodo e per una parte della classe alla volta, di ritornare a scuola in sicurezza, perciò è stato un ottimo compromesso e non credo abbia inficiato la collaborazione tra studenti né minato i loro rapporti, perché tutti erano consapevoli della situazione che stavamo affrontando.  Dopo di che, niente è simile alla didattica in presenza, perché permette una reale interazione, che è alla base della comunicazione e della comprensione reciproca. Rappresenta un momento in cui la scuola diventa una comunità dove tutti perseguono un fine comune (o almeno dovrebbero!) che è quello di crescere per diventare cittadini attivi, forti della propria cultura basata sul sapere, aperti al confronto con gli altri grazie alla circolazione delle idee e allo scambio di opinioni, flessibili, capaci di adattarsi, ma anche di cambiare la società con idee innovative, grazie alle competenze acquisite. Credo che questo i ragazzi lo abbiano capito molto bene, e non è un caso che vogliano tornare a scuola e anzi sognano attività pomeridiane, come laboratori di teatro, scrittura creativa, arte. Abbiamo tanto bisogno di contaminarci di nuovo. Però questo non significa che butterei l’esperienza della didattica online, anzi credo che continuerò ad utilizzare molti degli strumenti che ora ho a disposizione, perché mi hanno permesso di svecchiare un approccio che era forse troppo rivolto alla trasmissione del sapere e meno allo sviluppo di competenze.

“Nella sua personale esperienza possono le conoscenze e la passione di un professore passare attraverso un monitor? Quali sono stati i momenti in cui ha percepito maggiormente la vicinanza dei suoi studenti?”

Non credo che le lezioni online ostacolino il passaggio di conoscenze – le piattaforme esistenti sono basate su questo – ovviamente se dall’altra parte c’è la volontà di apprendere, ma questo vale sia a distanza che in presenza. Invece è molto più difficile trasmettere le emozioni, e tutti sappiamo come giochino un ruolo fondamentale nell’apprendimento. Questa è la sfida più ardua, perché non riuscire a catturare l’interesse di chi sta dietro il monitor o non comprendere la confusione e le paure di uno studente può significare perderlo. Però i sorrisi si vedono anche dallo schermo di un computer e le battute si sentono anche dalle cuffiette. Credo che i momenti in cui mi sento più vicina ai ragazzi siano proprio quando ridiamo insieme, perché significa che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. E ovviamente quando raccontano le loro esperienze. Mi ritengo molto fortunata, perché insegno una disciplina che, per sua natura, spinge i ragazzi a parlare del proprio vissuto e ad esprimere le loro opinioni. Avere l’opportunità di condividerle, sia pure attraverso un monitor, è una delle cose che rende il mio lavoro speciale.

Intervista a cura di Aurora Ferazzani, progetto svolto in collaborazione dalla IV B 2020-21