ippogrifo

La scuola ai tempi del Covid: I swear I lived

“I did it all. I did it all. I owned every second that this world could give, I saw so many places, the things that I did…Yeah, with every broken bone, I swear I lived”

Questa è una parte della canzone del gruppo One Republic chiamata “I lived.”

La canzone nasce come un invito a vivere la vita con tutta la grinta e con il desiderio di assaporare ogni secondo fino in fondo.

Ho scelto di prendere spunto da questa canzone, perché durante il primo lockdown mi è capitato spesso di cantarla a squarciagola nella mia camera, sognando di essere sulla spiaggia con le mie amiche, senza mascherina e senza la paura di poter contrarre il virus.

Quando ascolto questa canzone non posso che ricordarmi di come si è concluso il 2019, prima che tutto quello che era normalità cambiasse. Ero a una festa con i miei amici, ho guardato i fuochi d’artificio e mi sono sentita pronta a lasciare andare il passato per affrontare quello che pensavo sarebbe stato un anno pieno di felicità. Purtroppo è proprio vero che non si conosce mai a cosa si va incontro quando si lascia qualcosa.

Chi lo avrebbe mai immaginato che saremmo stati chiamati ad affrontare una pandemia globale? Io no di certo. Eppure ecco che quello che sembrava essere un altro scherzo della tv si è rilevato essere la nuova quotidianità. Abbiamo dovuto dire addio a molte persone che non sono state in grado di resistergli, abbiamo dovuto rinunciare alla scuola, al lavoro, alle feste, alle partite di calcio, alle riunioni scout… ci siamo dovuti reinventare per poter sopravvivere. Per me non è stato facile. A 16 anni mi è stato chiesto di stare chiusa in casa, di rinunciare a quegli attimi di spensieratezza con gli amici, di indossare una mascherina e soprattutto ho iniziato ad avere paura di avvicinarmi a chiunque, paura di poter star male e di far star male altre persone.

La sera era il momento peggiore. Alla tv veniva illustrato il bollettino dei morti e speravo con tutta me stessa che quei numeri calassero, ma in realtà non facevano altro che crescere. Numeri… fa ancora strano pensare che quelli non erano solo numeri, erano persone. Ne sono morte così tante che ormai è quasi abitudine parlarne. Ci limitiamo a ridurre i loro nomi a cifre, forse perché fa meno male, forse perché se parlassimo di persone ci accorgeremmo di quanto abbiamo perso. Alla fine un numero è una cifra come tante altre, non ha alcun significato, ma quando diciamo persona, chiunque essa sia, in quel momento ci risvegliamo dal sogno e capiamo davvero cosa stiamo affrontando.

Ora ho 18 anni e mi sembra passata una vita dal primo discorso fatto dall’allora premier Conte in cui si annunciava la prima quarantena e mai avrei pensato che a distanza di un anno mi sarei trovata a vivere una situazione identica con un secondo lockdown. Ora il sentimento che domina dentro di me non è più paura. Sono un mix di emozioni che probabilmente non riuscirò nemmeno a spiegare… Rabbia, stanchezza, delusione. Ogni giorno sento adulti parlare di noi giovani. Vi illustro quali sono le frasi che con più frequenza sento essere al centro di discussione.

“Questi ragazzi sono stati felici della DAD, insomma, non hanno fatto niente”

“I ragazzi sono i più testardi, a loro non importa se qualcuno muore, l’importante è uscire”

“Ma che ti costa stare a casa e non vedere i tuoi amici? Dormi tutto il giorno”

“Tanto a voi giovani il virus non fa niente”

Queste sono le frasi che a inizio pandemia cercavo di giustificare in un qualche modo ma che ormai non sono più ammissibili. Sono una studentessa di diciotto anni e questo è stato l’anno più duro della mia vita. La mia routine si basava sullo svegliarsi, fare colazione, stare davanti a un computer per 5 ore, pranzare, studiare davanti a un computer per tutto il pomeriggio e andare a dormire dopo cena per la stanchezza. Ho vissuto per un anno sentendomi in colpa per essere solo una ragazza, additata come irresponsabile solo perché più giovane di altri. Hanno insinuato che durante la DAD noi studenti siamo stati comodamente sul letto senza preoccuparci di nulla.

Beh vi sbagliate.

Mi sono confrontata con le mie amiche, con i miei compagni e con ragazzi che reputavo diversissimi da me, ma che ho riscoperto essere più simili di quanto pensassi. Questo non solo è stato l’anno più duro della mia vita, ma lo è stato per molti ragazzi come me. Abbiamo sentito il peso addosso di proteggere non solo noi stessi, ma di proteggere tutti i nostri cari. Abbiamo rinunciato a quelli che spesso vengono definiti “Gli anni più belli della nostra vita”, alla spensieratezza che gli adulti ci invidiano, alle cene fuori con gli amici, allo stare seduti sui banchi di scuola con la voglia di vedere i compagni e la voglia di imparare e perché no, anche alla voglia di sentire quella benedetta campanella suonare al termine delle 5 ore. Abbiamo rinunciato alle nostre passioni, a quell’ora di allenamento post scuola che serviva per staccare la testa dallo studio e ci siamo immobilizzati di fronte a dei computer. Ironia della sorte, vi ricordate quando i vostri genitori vi dicevano di spegnere il computer, smetterla di guardare serie tv e iniziare a studiare? Abbiamo perso l’interesse allo studio, ma abbiamo continuato a studiare perché era l’unica cosa che potevamo fare. Abbiamo pianto tanto e tutti noi abbiamo cercato di consolarci a vicenda e di uscirne più forti di prima. Abbiamo cercato di reggere il peso della situazione e non mollare e ce l’abbiamo fatta. È arrivata l’estate e abbiamo ripreso a vivere.

Poi tutto è ricrollato nella confusione più totale e come sempre ci abbiamo rimesso noi. So bene come si sente la gran parte dei ragazzi che hanno la mia età. Siamo stanchi della precarietà della vita che stiamo vivendo, siamo stanchi di aver perso l’occasione di viverci gli ultimi istanti di libertà prima di iniziare l’università e proiettarci nel mondo degli adulti, siamo stanchi di essere lasciati da parte, perché tanto i giovani non soffrono.

Qui subentra la mia richiesta. Vi chiedo di ricordavi di quest’estate. Io la mia la ricorderò per sempre. Ho finalmente ripreso a vivere dopo un lockdown estenuante, ho vissuto giornate indimenticabili che sempre porterò con me. Sapete cosa ho fatto? Assolutamente niente di diverso rispetto alle altre estati passate. Perché quest’estate è stata la più bella? Perché ho vissuto davvero. In quel periodo di quarantena ho accumulato la mia voglia di vivere, di ridere, di stare con le persone che amo e di assaporare secondo dopo secondo. Ho vissuto appieno qualsiasi cosa capitava e non mi sono limitata in niente. Avevo capito ed ho capito cosa significa vedere la propria vita cambiare senza che tu possa farci nulla. Ho vissuto per la mia famiglia che mi ha vista stanca di stare a casa, ho vissuto per le mie amiche che erano pronte a vivere quei momenti con me, ho vissuto per tutte le persone che come me sono state a casa e hanno lottato per sopravvivere, ho vissuto per quegli abbracci non dati e per quelle persone che non hanno più potuto abbracciare nessuno. Ma soprattutto ho vissuto per me e per quella paura che per 3 mesi si è spenta.

Vi chiedo dunque questo cari studenti. Vi chiedo di vivere la vostra vita come abbiamo vissuto quest’estate, senza limiti e senza perdere mai la grinta che è in voi. Vi chiedo di ricordarvi di tutta la sofferenza di quest’ultimo anno e della voglia di vivere ogni secondo della vostra vita che avete dovuto chiudere in un cassetto.

Vi auguro di poter dire questo:

“Io, ho fatto tutto. Io, ho fatto tutto. Ho vissuto ogni secondo che questo mondo poteva dare, ho visto tanti posti, le cose che ho fatto… Sì, con ogni osso rotto, giuro di aver vissuto!”

Giovanna Stronati, IV B a.s. 2020-2021