ippogrifo

“Lotta in nome della giustizia”

La realtà di una donna come tante… che ha riscritto la propria storia e quella del nostro paese.

FEDERICA ANGELI

Due spari. Una colluttazione in strada. I volti che fanno capolino dalle finestre, che gettano sguardi incuriositi e titubanti alle strade buie sotto di loro. Ma le finestre sono subito serrate. Basta un’intimazione. “Tutti dentro! Lo spettacolo è finito”, e le persone si nascondono nuovamente nelle proprie case, impaurite dal loro stesso sguardo che mai come in quel momento poteva rivelarsi indiscreto, curioso, pericoloso. Ma quello di Federica Angeli lo è sempre stato.

Il suo mestiere è quello della giornalista, la sua curiosità e il suo interesse rivolti all’informazione e al racconto dei fatti. Quella notte, tra il 14 e il 15 luglio del 2013, Federica è l’unica a precipitarsi in strada, per ricostruire gli avvenimenti, per fare il proprio lavoro, per cercare di ottenere più informazioni possibili, da chi come lei aveva assistito ai fatti. Ma la paura è una brutta bestia, che in molti curano con l’antidoto più efficace che conoscono: l’omertà. Il silenzio, però, spezza inesorabilmente la comunicazione, rompe quella catena fondamentale tra le vite umane, che ti permette di conoscere ciò che non sai e di raccontarlo ad altri. Ma Federica era sicura di quello che aveva visto; si fidava dei suoi occhi ormai esperti, dopo le numerose inchieste di cui si era occupata, spesso riguardanti il quartiere di Ostia, in cui Federica viveva e vive tuttora, già da molti anni, insieme a suo marito e ai suoi tre figli. Nei giorni seguenti a questo avvenimento, Federica Angeli firma la denuncia per tentato duplice omicidio a carico di Carmine Spada e Ottavio Spada, due membri del famigerato clan di Ostia. La giornalista de “La Repubblica”, non si è limitata soltanto a svolgere il proprio lavoro di giornalista, ma ha compiuto il proprio dovere di cittadina, per difendere la legalità e la giustizia nonostante tutte le ripercussioni che questo avrebbe portato nella sua vita, rifiutandosi di piegare la testa di fronte alla criminalità organizzata, non per spavalderia, presunzione o sfrontatezza, ma per principio, per perseguire coerentemente un ideale al quale era rimasta sempre fedele nel suo lavoro nell’informazione. Quella volta però ha deciso di andare oltre, di fare qualcosa che non fosse esclusivamente legato al suo lavoro, di prendere definitivamente una posizione concreta nella lotta alla mafia, per quello che realmente è: una banda di ricattatori ed usurai che da ormai troppi anni fanno il buono e il cattivo tempo ad Ostia, ma contro i quali si può combattere con l’arma della legalità. Dal 17 luglio del 2013 inizia la cronaca di millesettecento giorni sotto scorta, alla quale Federica viene sottoposta, per salvaguardare la sua incolumità. Dal giorno della denuncia, infatti, Federica e la sua famiglia sono vittime di continue minacce da parte di alcuni membri del clan, che tolleravano ben poco la sua strenua attività di giornalista anche prima che la Angeli ricorresse alla denuncia. “A giornalista de Ostia, io te levo la serenità dentro casa eh”. Le vengono assegnati due poliziotti, senza i quali non potrà spostarsi, neanche per brevi distanze. Le vengono montate delle sbarre alle finestre di casa. Da quel momento in poi le sarà proibito affacciarsi dal balcone di casa sua. Ogni luogo in cui deciderà di andare, dovrà essere preventivamente bonificato dagli uomini della scorta. Le viene tolta l’inchiesta a cui tanto stava lavorando, sempre allo scopo di proteggerla. Insomma, Federica sembra aver deliberatamente minato la propria libertà e quella della sua famiglia, cosa che le sarà rinfacciata molto spesso anche dalla stessa famiglia, che, pur continuando a sostenerla, non capiva ancora a pieno l’importanza che il gesto di Federica avrebbe avuto nel determinare le sorti della loro Ostia e dei suoi concittadini. La vita per lei cambia improvvisamente, in modo radicale. Gli anni passano… e le minacce continuano. E divengono ogni volta più pesanti, più sconcertanti. Mentre Federica era sola in casa con i bambini, le viene versato del liquido infiammabile sotto la porta, che invade completamente l’ingresso. Le viene recapitata una busta con dentro un proiettile. Un membro del clan fa il segno della croce ad uno dei figli di Federica, terrorizzando i familiari. Degli avvenimenti che non possono fare altro che scatenare il timore e l’angoscia che lei e suo marito Massimo tanto abilmente cercavano di nascondere. Per non parlare delle complicazioni, lo sbigottimento e la frustrazione che nascono dal dover vivere sotto scorta. Poter uscire solo dopo un segnale convenuto, avere a disposizione solo una gamma limitata di posti nei quali andare e potersi muovere in sicurezza, trascorrere le proprie giornate costantemente in compagnia di due persone in più. Eppure Federica non si è mai lasciata strappare il sorriso…  nonostante tutto è stata capace di difendere la propria famiglia, facendo crescere i propri figli non nel timore né tantomeno nella rabbia, ma nella consapevolezza che quello che la mamma aveva cominciato era soltanto l’inizio, che il suo gesto avrebbe ben presto messo radici nella loro comunità, che anche grazie a questo il loro paese avrebbe potuto rialzarsi, anche se questo comportava qualche sacrificio. Tutte queste cose io non potrei saperle, non conoscerei la storia di Federica e non potrei raccontarla, se non fosse stato per il film “A mano disarmata”, dal libro che Federica ha scritto sulla sua vita sotto scorta, in cui il ruolo di Federica è magistralmente interpretato da Claudia Gerini, diretto dal regista Claudio Bonivento. Il film è decisamente innovativo, se lo si sa guardare con occhi attenti ed interessati. Della mafia si parla indirettamente, i criminali non sono l’oggetto di questo film, come  invece accede spesso per altri film di mafia. La storia in primo piano è quella di una donna che reagisce a questi soprusi, subiti anche dalle persone che le stanno vicino e condividono con lei la preoccupazione e allo stesso tempo la tenacia nell’affrontare una situazione che agli occhi di chi non la vive può sembrare un semplice contrattempo, una situazione temporanea, o semplicemente un’altra dimostrazione del marcio che circola nel nostro paese, e non solo. Ma per le persone che vivono ad Ostia, che lì hanno aperto delle piccole attività e che hanno messo su famiglia, quello è tutto il loro mondo. È con la loro vita che giocano. È della loro vita che stiamo parlando. È del loro futuro che stanno decidendo. Federica non ha reagito per sé stessa, ma per i propri figli, per la sua gente e la sua terra. Per dimostrare che non bisogna considerare questi criminali come una malattia incurabile, ma come persone (e questo potrebbe sembrare paradossale ad una prima osservazione). Persone dedite al malaffare, criminali di ogni sorta, che per il territorio in cui stanno sono come sanguisughe, despoti che impongono il proprio volere su chiunque finisca nella loro rete. Federica ha dimostrato che, in quanto fatta di persone, in quanto fatta di criminali, la mafia si può e si deve sconfiggere. Le sue azioni hanno avuto un successo più che concreto. La notte del 25 gennaio 2018, 32 membri del clan degli Spada sono stati arrestati, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il clan causa il degrado del territorio ed è mandante di due omicidi. Federica è riuscita a trascinare i suoi componenti dritti davanti ai giudici, con la sola forza della parola, della verità, della solidarietà e del coraggio. Il suo gesto ha messo davvero radici. In seguito alla sua deposizione in tribunale, molti abitanti della zona si sono uniti a lei nella lotta e hanno fondato “Noi Associazione Antimafia” che organizza corsi di giornalismo ed eventi ispirati al tema della legalità, prendendo spunto da quello che Federica ha fatto per loro. L’obbiettivo del film è semplicemente quello di raccontare una storia, la storia di Federica Angeli che parla di coraggio, di amore e dedizione per la verità e per il proprio territorio… per la propria gente, così che più persone possibili possano conoscere questa storia. E ha funzionato se penso alla mia personale esperienza. E questo è anche l’obbiettivo di questo articolo. Perché ciò che Federica ci ha insegnato è che è necessario l’appoggio di più persone possibili per vincere questa battaglia e che tutti possono partecipare, non soltanto ideologicamente, ma concretamente, un passo alla volta. Grazie Fede.

Eleonora Michelangeli