ippogrifo

“Se ti prende al volo qualcuno mentre cammini in un campo di segale”

Commento al libro “Il Giovane Holden” di J.D. Salinger

“La cosa migliore di quel museo, però, era che tutto rimaneva sempre esattamente dov’era. Nessuno si muoveva. […] Nessuno cambiava mai. L’unico che cambiava eri tu”

Lo ha detto il giovane Holden piazzato di fronte al museo di storia naturale, che aveva visitato tante volte da piccolo con i compagni di scuola e la maestra. E non aveva ragione?

Era proprio bello che in quel museo le cose fossero sempre così come le si erano lasciate, era un posto tranquillo dove si poteva stare certi di non doversi far pesare tutte quelle cose che cambiano tutti i giorni e, spesso e volentieri, sono proprio scomode. Come per il giovane Holden, anche per tutti gli altri è sempre confortante avere un posto in cui rifugiarsi, e fingere di essere ancora bambini, di non essere cambiati affatto.

Il romanzo di Jerome David Salinger intitolato “The Catcher in the Rye” (titolo tradotto letteralmente come “L’acchiappatore nella segale”, ma convenzionalmente cambiato in “Il Giovane Holden” per l’edizione tradotta in italiano) è stato pubblicato per la prima volta nel 1951 e, per volere dello stesso autore, con una copertina completamente bianca, munito solo di titolo e nome dello scrittore. Anche le edizioni odierne presentano una copertina priva di illustrazioni, prefazione o commenti di qualsiasi tipo: il libro doveva e deve tutt’ora essere scelto per la sola curiosità verso il contenuto. Il titolo originale è particolare e non è volto a riassumere il romanzo: nasce dalla storpiatura del testo di una canzone sentita per caso dal giovane Holden, che ispira in lui l’immagine dell’unico lavoro che vorrebbe fare in futuro. Si tratta di starsene nascosto vicino ad un precipizio alla fine di un campo di segale e acchiappare i bambini che giocano quando vi si avvicinano troppo.

Il romanzo narra le vicende accadute al giovane Holden Caulfield qualche giorno prima di Natale, probabilmente nel 1949, raccontate da lui stesso. Il ragazzo, al tempo degli eventi sedicenne, è appena stato cacciato dall’ennesimo college: non si impegna affatto, salta le lezioni, si presenta sempre impreparato, questo a detta di una lettera del preside. Per conseguenza, è stato bocciato in cinque materie su sei, si è salvato in inglese.

Quel che avrebbe dovuto fare il giovane Caulfield sarebbe stato attendere la fine delle lezioni il mercoledì della settimana seguente all’espulsione, andare a casa e sperare di poter comunicare la sgradevole notizia ai suoi genitori prima che lo facesse un’altra lettera del preside. Holden, tuttavia, prende la decisione di prolungare il più possibile il tempo prima del confronto: intanto, di restare in quella scuola “piena di gente ipocrita”, a detta sua, non ne ha voglia. È notte fonda quando prende i bagagli, racimola tutti i suoi risparmi e si dà ad un folle viaggio in giro per New York. Appare disinvolto, contento della sua scelta e della sua indipendenza, ma in fondo c’è un senso di amarezza, di paura di aver deluso ancora la sua famiglia: “Quando sono stato pronto per andare, con le valigie fatte e tutto il resto, mi sono fermato un attimo in cima alle scale e ho dato un’ultima occhiata a quel maledetto corridoio. Stavo quasi piangendo. Non so perché”.

La notte si prospetta lunga e solitaria. Holden ha alloggiato in un albergo, ma di dormire non ne vuole sapere. Inizia un vagabondaggio da un club all’altro e incontri con vecchi amici chiamati senza un vero motivo, se non quello che il ragazzo si senta“solo come un cane”. Non riesce a trovare nessuno con cui condurre una conversazione, a parole sue, intelligente. Per meglio dire, non c’è nessuno che capisca l’animo pieno di disagio e sconforto di Holden: è completamente solo in una grande città, cercando di sfuggire alla realtà di essere stato di nuovo cacciato dall’ennesima scuola. Colma i suoi silenzi di pensieri, raccontando innumerevoli aneddoti niente affatto pertinenti ai fatti accaduti in quei giorni prima di Natale.

La prima notte a New York passa come un incubo, travagliata eppure lunga e noiosa, e il protagonista, alla fine, si trova di nuovo solo nella sua stanza d’albergo, talmente triste e in uno stato di profondo disagio, tanto da meditare la morte: “Quel che avrei voluto fare è suicidarmi. Mi sarei buttato dalla finestra. E forse l’avrei anche fatto, fossi stato sicuro che qualcuno mi avrebbe coperto appena toccato terra. Non mi andava che un branco di cretini curiosi stesse lì a guardarmi tutto pieno di sangue”. A fermarlo dal compiere quel gesto estremo è l’ennesimo pensiero che, probabilmente, a nessuno sarebbe saltato in testa come primo: la perdita della dignità a essere osservato lì, sotto quel palazzo, a terra.

La mente del giovane Holden si mostra estremamente immatura. Sotto certi aspetti sembrerebbe ancora un bambino, per il modo in cui si inventa scenari assurdi come vendette da film con pistole e sangue o per domande che non ci si aspetterebbero da un sedicenne, quali: “Ha presente le anatre che ci sono nel laghetto vicino a Central Park South? Quello piccolo? Lei sa per caso dove vanno, quelle anatre, quando l’acqua si ghiaccia?”. Il suo personaggio è impregnato, inoltre, da un forte senso di malinconia, di noia, di solitudine: in tutto il racconto continua a ripetere espressioni come “eccetera”,“e compagnia bella”,“e via dicendo”, che danno l’idea di una pesante e quasi schiacciante monotonia e irrilevanza in ogni cosa.

Holden si rifiuta di prendersi delle responsabilità vere e proprie, la scuola non gli piace, le punizioni dei genitori cerca di evitarle in tutti i modi, non vuole pensare ad un possibile futuro per sé. Parte del motivo del comportamento irragionevole e irresponsabile di Holden è sicuramente la morte di suo fratello minore Allie, quando lui stesso aveva solo tredici anni. È un fatto che il ragazzo non nasconde, lo dice nella prima occasione in cui gli viene in mente e con molta leggerezza. Eppure la morte del suo fratellino lo segna profondamente, creando in lui una sensazione costante di sconforto e facendolo diventare, apparentemente, molto sensibile al cambiamento.

Tuttavia, com’è inevitabile, tutto attorno a lui cambia ed è per questo che gli sembra che con nessuno possa condurre una conversazione intelligente, perché tutti continuano a chiedergli: quando crescerai, Holden? Prova costantemente una forte avversione per tutto: per tutti i suoi conoscenti e non, che chiama ipocriti, per qualsiasi luogo in cui si trovi, che è sempre in qualche modo contaminato o diverso da com’era prima, per ogni evento casuale che gli viene incontro, come l’incontro con due suore, che gli assedia la mente per quei tristi cestini marci che si portavano dietro. Tristezza, malinconia, rabbia, disgusto: sentimenti di un giovane adolescente che di crescere non ne vuole sapere nulla.

Stanco e appesantito dalla tristezza per la solitudine, sull’orlo di un collasso per la spossatezza fisica e mentale, Holden decide di non tornarci proprio, a casa. Prende la decisione di andarsene da qualche parte in Colorado, a costruirsi una bella casetta, a trovare lavoro in un ranch o in una stazione di servizio e, addirittura, fingersi sordomuto, così da risparmiarsi tutte le chiacchiere “stupide e inutili”.

Ad aprire gli occhi al giovane Holden è la sua sorellina Phoebe. Si mostra affranta quando scopre che il fratello è stato cacciato dal college, di nuovo: “Non ti piace nessuna scuola. Non ti piacciono un milione di cose. Non ti piace niente”. Holden ama particolarmente la sua sorellina, forse perché gli ricorda l’innocenza infantile che lui sarebbe stato costretto ad abbandonare una volta tornato a casa. Sarà proprio Phoebe a condurlo di nuovo sulla strada giusta, e grazie a lei ritrova un momento di pace e di vera e propria felicità, guardandola divertirsi su una giostra: “Di colpo ero così pazzescamente felice, vedendo la vecchia Phoebe che girava e girava. Quasi mi mettevo a gridare, tant’ero felice, se proprio volete la verità. Non so perché. Sarà che era talmente carina, accidenti a lei, mentre girava e girava, col suo cappotto azzurro e via dicendo. Dio, peccato che non c’eravate”.

Il Giovane Holden è un romanzo di formazione, che racconta con le parole di un sedicenne vissuto negli anni ’50 lo sconforto dell’uscire dalla propria “bolla”. Holden, un ragazzo giocoso, irresponsabile e un po’ malinconico, è la dimostrazione del fatto che la vita va avanti anche quando si pensa di essere al limite, anche quando si pensa che si stia per sprofondare. Solo che Holden, prima, questo non lo sapeva. Perché, per usare le sue parole, “Come fa uno a sapere quello che farà finché non lo fa?”.

Aurora Samira Kuhn